IL
379° FESTINO DI SANTA ROSALIA
Dal 10 al 15 luglio 2002 i festeggiamenti in onore della Patrona
di Palermo
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Celebre
in tutt’Europa per spettacolarità e partecipazione
di popolo, il Festino di Santa Rosalia fu visto e raccontato dai
viaggiatori del Grand Tour nel ’700 e ’800. Di seguito
ne proponiamo alcuni brani.
Dominique
Vivant-Denon
da Voyage Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de
Sicile, 1781-86
Il quinto giorno viene celebrato con un’eterna processione,
iniziatasi al calar della notte, e che finisce un’ora dopo
la mezzanotte. Qui si vede il gusto dei Palermitani per le macchine
e quanto si esaltino nella devozione dei loro santi. Ogni congregazione
porta la sua macchina con la rappresentazione di qualche scena del
Vecchio o del Nuovo Testamento, figurata con delle immagini in grandezza
naturale o con dei fanciulli. I conventi religiosi si incaricano
del corredo di queste figure ed hanno sempre la cura di vestire
e pettinare Giuditta e la Vergine all’ultima moda. Queste
figure vengono portate su delle impalcature sulle spalle di trenta
o trentasei uomini, che fanno a gara a far correre il loro santo
più velocemente di quello degli altri, e fanno delle contromarce
e ritornano sui loro passi con delle grida di trionfo veramente
selvagge. Infine arriva Santa Rosalia che cammina un po’ più
posata, provoca il giubilo, fa inginocchiare il popolo e chiude
la festa.
Patrick
Brydone
da A Tour trough Sicily and Malta, 1773
La Festa ebbe inizio verso le cinque del pomeriggio, col Trionfo
di Santa Rosalia, che fu trasportata in gran pompa attraverso il
centro della città, dalla Marina a Porta Nuova. Il carro
trionfale era preceduto da un gruppo di uomini a cavallo, con trombe
e tamburi, e da tutti i funzionari della città in tenuta
di gala.
La
macchina è veramente enorme: misura settanta piedi di lunghezza,
trenta di larghezza e oltre ottanta di altezza; mentre passava nelle
vie, sopravanzava le più alte case di Palermo. Nella parte
inferiore assomiglia un po’ a una galea romana, ma va dilatandosi
verso l’alto. Davanti si allarga a forma di anfiteatro ovale,
con dei sedili disposti torno torno: questa è la grande orchestra,
ed era affollata da una nutrita schiera di suonatori, disposti in
varie file, una sopra l’altra. Alle spalle dell’orchestra
si innalza una grande cupola, sostenuta da sei colonne corinzie
e adorna di numerose figure di santi e angeli, e con una gigantesca
statua d’argento di Santa Rosalia alla sommità. L’intera
macchina è coperta di alberi di arancio, vasi di fiori e
rami di corallo artificiale.
Il
carro si fermava ogni cinquanta o sessanta iarde, e l’orchestra
eseguiva un pezzo con inni in onore della santa. Sembrava un castello
mobile, che occupava tutta la strada da una parte all’altra.
Era questo invero il più grosso inconveniente, perché
lo spazio nel quale doveva muoversi non era affatto proporzionato
alle sue dimensioni, e le case sembravano ridursi a niente quando
la macchina vi passava accanto. L’immane costruzione era trainata
da cinquantasei muli enormi, disposti in due file e coperti di gualdrappe
bizzarre. Li montavano ventotto postiglioni vestiti di stoffe d’oro
e d’argento, con lunghe penne di struzzo sul cappello. Ogni
finestra, ogni balcone, da ambedue i lati della strada, rigurgitavano
di gente elegante, mentre il carro era seguito da migliaia di popolani.
Jean-Pierre Louis-Laurent Hoüel
da Voyage Pittoresque des îsles de Sicile, de Malta et de
Lipari, 1782-87
Il Carro, che d’ordinario costituisce il principale ornamento
della festa, parte da Porta dei Greci, cammina lentamente e, avanzandosi
lungo la spiaggia detta Marina, giunge a Porta Felice, per la quale
entra in città. È tirato da quaranta muli riccamente
bardati e guidati da venti postiglioni con lunghi costumi rossi
alla spagnola e cappelli sormontati da ondeggianti piume. Carro,
muli, postiglioni sono preceduti da una compagnia di dragoni a cavallo,
da otto trombetti, sei ufficiali a piedi, da una specie di caporale
con otto uomini al servizio del Senato, in livrea e a piedi, con
un drappello ed altri otto dragoni, pur essi a cavallo.
Il
Maestro di cerimonie a cavallo, avvolto in un gran mantello nero
e coperto d’un cappello a larghe tese, guarnito di piume bianche
alla spagnola, segue immediatamente a capo dei muli che tirano il
Carro, con un campanello in mano, che egli suona di tanto in tanto
per ordinare le fermate, le riprese e via dicendo. Il Carro, costruito
ogni anno sopra un nuovo modello, ha circa ottanta piedi di altezza,
quaranta di lunghezza e venti di larghezza: è un’arca
di trionfo mobile, che porta una grandissima quantità di
musici, e la cui base è come una conca, piantata su quattro
ruote. Nel mezzo di quest’arca è il simulacro della
Santa, rappresentata in forma di giovinetta con splendidi abiti,
sospesa su di una nuvola, e circondata da raggi di gloria; figure
di soldati presso di Lei pare che veglino a Sua custodia.
Il
cannone dà il segnale della partenza alle cinque o alle sei
di sera. Il Carro si avanza così lentamente che tutti hanno
l’agio di contemplarlo. Otto granatieri a cavallo vanno dietro
tenendo a distanza la popolazione, che segue in folla gridando «Viva!».
Una polizia saggia e severa impedisce che carri e vetture transitino
durante le cinque ore della festa per la bella spiaggia della Marina,
entra in città per Porta Felice, si avanza lungo il Cassaro;
i balconi, gremiti di persone e soprattutto di donne sfarzosamente
vestite, fanno uno stupendo spettacolo.
Nel
corso c’è tanta folla che il Carro può procedere
a stento; e così fino alla piazza del Palazzo del Viceré
presso Porta Nuova, dove giunge che è già notte. Allora
si illumina il Cassaro, il quale ai due lati pare tutto in fiamme.
Il numero degli accenditori è tale che il corso viene illuminato
in un istante. Lo splendore delle mura che guardano la spiaggia
della Marina, la bellezza del sito, la moltitudine delle persone,
l’eleganza delle vesti, il chiarore dolce e vivo delle infinite
lampade formano un insieme incantevole, uno spettacolo delizioso;
onde si prova un sentimento, un piacere che consola, e si gioisce
della gioia comune.
Nella
piazza del Vicerè era preparato un gran fuoco d’artifizio,
la cui decorazione rappresentava il prospetto d’un edificio
abbastanza ben eseguito. Questo fuoco si bruciò circa due
ore dopo il tramonto del sole, e durò mezz’ora. Il
palazzo del Viceré, quello dell’Arcivescovo, così
come le case e i monasteri dei dintorni che decoravano la medesima
piazza, erano affollati di persone, le voci di gioia, i battimani
risuonavano da ogni parte, l’applauso era generale e l’eco
ripeteva lontano il rumore della piazza.
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