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379° FESTINO DI SANTA ROSALIA
Dal 10 al 15 luglio 2002 i festeggiamenti in onore della Patrona
di Palermo
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Secondo
alcuni studi di agiografi locali, Rosalia, figlia del duca Sinibaldo
di Quisquina delle Rose, nipote per parte di madre di re Ruggero
d’Altavilla, crebbe nel XII secolo alla corte dello zio, a
Palermo. Era molto bella e suscitava interessi terreni, fra i tanti
quello del principe Baldovino, all’epoca ospite di riguardo
alla corte di Ruggero. La leggenda narra che, durante una battuta
di caccia grossa, sul monte Pellegrino, la montagna sopra Palermo,
un leone stava per uccidere re Ruggero; Baldovino, coraggiosamente,
lo salvò uccidendo il leone. Re Ruggero chiese a Baldovino
di indicare egli stesso un premio per la sua eroica azione, e quest’ultimo
chiese la mano di Rosalia, che, in seguito alla proposta di matrimonio,
fuggirà gettando nello sconforto la madre, lo zio e l’intera
guarnigione di stanza a Palazzo Reale (o dei Normanni).
Vissuta
per poco tempo alla corte di Ruggero II, in seguito alla morte del
re, chiese ed ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta
sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita.
Successivamente, si trasferì in una grotta sul monte Pellegrino,
dove visse “a vita di contemplazione” fino alla morte.
Il
suo culto si collega ad un evento particolare accaduto a Palermo
in occasione di un’epidemia di peste. Il 7 maggio del 1624,
infatti, attraccò nel porto della città un vascello
proveniente da Tunisi, che in precedenza era approdato a Trapani
e lì era stato sequestrato perché l’equipaggio
era stato sospettato di essere stato contagiato dal morbo. Ben presto
era stato dato l’allarme ma il viceré, mal consigliato,
si lasciò convincere e fece scaricare dal vascello il carico,
mentre il comandante, Maometto Cavalà, insieme con il guardiano
del porto, si recò a Palazzo Reale per portare i doni a Sua
Altezza Serenissima: cammelli, leoni, gioielli e pelli conciate,
inviate dal re di Tunisi. “E si vedeva per tutta la città
per tutto il mese di maggio e quasi il 15 giugno morire un gran
numero di persone”. Palermo si trasformò in un lazzaretto
sotto il cielo. Il resto è leggenda, mito e prodigio.
Nonostante
le infinite preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro
co-patrone della città - Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva
e Sant’Agata - non erano riuscite a fermare la peste. Il miracolo,
invece, fu attribuito alle reliquie di Santa Rosalia, le quali,
portate in processione, impedirono l’ulteriore diffondersi
dell’epidemia. Secondo le testimonianze storiche, infatti,
Vincenzo Bonelli, un saponaio di via dei Pannieri, che aveva perduto
per la pestilenza la moglie, salì sul monte Pellegrino per
una passeggiata; smarritosi in seguito a un temporale, gli apparve
la visione di Rosalia che, in dialetto palermitano, gli chiese di
avvertire il vescovo, cardinale Giannettino Doria, che le ossa ritrovate
poco tempo prima nella caverna dove ella era vissuta da eremita,
erano le sue: se fossero state portate in solenne processione lungo
le strade della città, la peste sarebbe scomparsa. Poste
in un sacco, tra fiori, candele accese e canti, i resti mortali
di Santa Rosalia, trasportati per le vie della città, fecero
il miracolo.
L’etnologo
dell’800 Giuseppe Pitrè così descrive la processione
delle reliquie della santa, ritrovate il 15 luglio 1624: “Al
loro passaggio il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva
la sua gravità. Palermo, in breve, fu libera, e, in attestato
di riconoscenza a tanto beneficio, si votò a lei, celebrando
in suo onore feste annuali che ricordassero i giorni della liberazione.
La grotta del Pellegrino divenne Santuario, ove la pietà
d’ogni buon devoto si ridusse a venerare l’immagine
della Patrona”.
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